Buon viaggio caro Ivo


Buon viaggio caro Ivo
Ismael Ivo

Il Covid ha mietuto un’altra vittima, il danzatore e coreografo brasiliano Ismael Ivo, a soli 66 anni è mancato, l’8 aprile, nella sua città natale, San Paolo dov’era ricoverato da un mese, lasciando un’infinita sfumatura di ricordi non solo artistici ma umani. Gentile e affabile, sorridente ed elegante , ho avuto la fortuna d’intervistarlo due volte, la prima nel 2011 in occasione del debutto del suo spettacolo Babilonia. Il terzo paradiso alla Biennale Danza a Venezia dove, dal 2005 al 2012 è stato Direttore artistico, la seconda a Milano chiamato a creare per gli allievi dell’Atelier di Teatro Danza della Scuola Paolo Grassi lo spettacolo Medeamaterial. Amava insegnare ai giovani, in particolare ai ragazzi disagiati del suo “Brasile”, lui stesso aveva potuto studiare danza moderna grazie alle borse di studio, esordendo nel corpo di ballo del Galpao Dance di San Paolo e poi al Teatro Municipal. La svolta della sua vita avvenne grazie al coreografo americano Alvin Ailey che lo vide danzare nel 1983, a Bahia e lo volle nella sua compagnia multirazziale dove gli stili, classico, moderno, jazz e afro si mescolano. Due anni dopo si trasferì a Berlino dove restò fino al 1996 per collaborare con Johann Kresnik , nome di punta del teatrodanza tedesco e con Ushio Amagatsu, l’artista giapponese dei Sankai Juku. Nel 1984 con Karl Regensburger ha fondato il prestigioso Festival di danza contemporanea ImPulsTanz a Vienna e nel 1996-97 è diventato direttore del Deutsches Nationaltheater di Weimar.L’Italia lo scopre nel 2002 alla Biennale di Venezia nell’assolo Mapplethorpe dedicato al famoso fotografo americano che lo aveva ritratto a New York. Ripropongo questa breve intervista con Ivo, danzatore di grande potenza fisica e sensibilità, che non ha mai smesso di cercare il “Paradiso” anche qui sulla terra. Buon viaggio caro Ivo.

E’ in cerca del paradiso, qui sulla terra, e lo rappresenterà col ballo, l’arte che ha scelto, in una stanza bianca, spazio vuoto ricco di significati, in una Babilonia popolata da un’umanità desiderosa di riscoprire un vocabolario comune, una comunicazione fatta di sguardi, ascolto, movimento, contatti fisici. Direttore artistico dal 2005 della Biennale Danza, il brasiliano Ismael Ivo, dopo il discusso “Body&Eros” parte stavolta dalla Genesi per riscoprire il fascino “di una Terra che ha una sola lingua e le stesse parole”. E nel nuovo spettacolo Babilonia. Il terzo paradiso, in prima l’11/5 a Venezia (Teatro Malibran) con 25 danzatori dell’Arsenale della Danza provenienti da tutto il mondo, scopre “che come individui non siamo niente perché abbiamo perso la capacità di comunicare. E ricorro alla mitologia per riflettere sul terzo paradiso, non quello con la “P” maiuscola della Bibbia”.
Scusi ma perché lo chiama il “terzo” paradiso?
“E’ la terza riflessione, chiude la trilogia iniziata con The Waste Land e Oxygen, ed è la più astratta tra tali creazioni. Rappresento un luogo immaginario, dove si apre la riflessione corporea sul bisogno di riscoprire il confronto tra culture, persone diverse”.
Un po’ quel che accade alla sua compagnia all’Arsenale?
“Sì, la compagnia è formata da 5 danzatori brasiliani, 13 italiani, una russa, 3 americani. Un po’ come una mini Babilonia dove le persone vivono in uno stato di confusione, senza saper bene dove andare ma sperando di trovare nuovi linguaggi. In un’epoca in cui il corpo vive la paura dei pericoli dell’energia nucleare”.
I ballerini che ha selezionato in Brasile col Sesc, l’organismo impegnato nel recupero di giovani disagiati attraverso l’arte, la cultura, che contributi umani, artistici portano alla compagnia?
“Lavoriamo sulla contaminazione umana, la capacità di interagire e scoprire ciò che ci accomuna; questi ragazzi portano nuova energia e grande passione, si fanno guidare più dal cuore che dalla testa, sono molto più intuitivi dei nostri allievi europei”.
Che tipo di musiche ha scelto per lo spettacolo?
“Le più belle arie barocche della scuola di Napoli interpretate dai castrati; la loro è un’arte affascinante, nessun soprano può riprodurre suoni così puri, che celebrano il divino. Volevo riflettere su come il sacrificio del corpo fa arrivare alle dimensioni più elevate”.

(Pubblicata su D Repubblica il 7/05/2011)

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Buon viaggio caro Ivo


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Ismael Ivo

Il Covid ha mietuto un’altra vittima, il danzatore e coreografo brasiliano Ismael Ivo, a soli 66 anni è mancato, l’8 aprile, nella sua città natale, San Paolo dov’era ricoverato da un mese, lasciando un’infinita sfumatura di ricordi non solo artistici ma umani. Gentile e affabile, sorridente ed elegante , ho avuto la fortuna d’intervistarlo due volte, la prima nel 2011 in occasione del debutto del suo spettacolo Babilonia. Il terzo paradiso alla Biennale Danza a Venezia dove, dal 2005 al 2012 è stato Direttore artistico, la seconda a Milano chiamato a creare per gli allievi dell’Atelier di Teatro Danza della Scuola Paolo Grassi lo spettacolo Medeamaterial. Amava insegnare ai giovani, in particolare ai ragazzi disagiati del suo “Brasile”, lui stesso aveva potuto studiare danza moderna grazie alle borse di studio, esordendo nel corpo di ballo del Galpao Dance di San Paolo e poi al Teatro Municipal. La svolta della sua vita avvenne grazie al coreografo americano Alvin Ailey che lo vide danzare nel 1983, a Bahia e lo volle nella sua compagnia multirazziale dove gli stili, classico, moderno, jazz e afro si mescolano. Due anni dopo si trasferì a Berlino dove restò fino al 1996 per collaborare con Johann Kresnik , nome di punta del teatrodanza tedesco e con Ushio Amagatsu, l’artista giapponese dei Sankai Juku. Nel 1984 con Karl Regensburger ha fondato il prestigioso Festival di danza contemporanea ImPulsTanz a Vienna e nel 1996-97 è diventato direttore del Deutsches Nationaltheater di Weimar.L’Italia lo scopre nel 2002 alla Biennale di Venezia nell’assolo Mapplethorpe dedicato al famoso fotografo americano che lo aveva ritratto a New York. Ripropongo questa breve intervista con Ivo, danzatore di grande potenza fisica e sensibilità, che non ha mai smesso di cercare il “Paradiso” anche qui sulla terra. Buon viaggio caro Ivo.

E’ in cerca del paradiso, qui sulla terra, e lo rappresenterà col ballo, l’arte che ha scelto, in una stanza bianca, spazio vuoto ricco di significati, in una Babilonia popolata da un’umanità desiderosa di riscoprire un vocabolario comune, una comunicazione fatta di sguardi, ascolto, movimento, contatti fisici. Direttore artistico dal 2005 della Biennale Danza, il brasiliano Ismael Ivo, dopo il discusso “Body&Eros” parte stavolta dalla Genesi per riscoprire il fascino “di una Terra che ha una sola lingua e le stesse parole”. E nel nuovo spettacolo Babilonia. Il terzo paradiso, in prima l’11/5 a Venezia (Teatro Malibran) con 25 danzatori dell’Arsenale della Danza provenienti da tutto il mondo, scopre “che come individui non siamo niente perché abbiamo perso la capacità di comunicare. E ricorro alla mitologia per riflettere sul terzo paradiso, non quello con la “P” maiuscola della Bibbia”.
Scusi ma perché lo chiama il “terzo” paradiso?
“E’ la terza riflessione, chiude la trilogia iniziata con The Waste Land e Oxygen, ed è la più astratta tra tali creazioni. Rappresento un luogo immaginario, dove si apre la riflessione corporea sul bisogno di riscoprire il confronto tra culture, persone diverse”.
Un po’ quel che accade alla sua compagnia all’Arsenale?
“Sì, la compagnia è formata da 5 danzatori brasiliani, 13 italiani, una russa, 3 americani. Un po’ come una mini Babilonia dove le persone vivono in uno stato di confusione, senza saper bene dove andare ma sperando di trovare nuovi linguaggi. In un’epoca in cui il corpo vive la paura dei pericoli dell’energia nucleare”.
I ballerini che ha selezionato in Brasile col Sesc, l’organismo impegnato nel recupero di giovani disagiati attraverso l’arte, la cultura, che contributi umani, artistici portano alla compagnia?
“Lavoriamo sulla contaminazione umana, la capacità di interagire e scoprire ciò che ci accomuna; questi ragazzi portano nuova energia e grande passione, si fanno guidare più dal cuore che dalla testa, sono molto più intuitivi dei nostri allievi europei”.
Che tipo di musiche ha scelto per lo spettacolo?
“Le più belle arie barocche della scuola di Napoli interpretate dai castrati; la loro è un’arte affascinante, nessun soprano può riprodurre suoni così puri, che celebrano il divino. Volevo riflettere su come il sacrificio del corpo fa arrivare alle dimensioni più elevate”.

(Pubblicata su D Repubblica il 7/05/2011)

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