“Ink” di Dimitris Papaioannou, un debutto tra incertezza e folgorazioni


“Ink” di Dimitris Papaioannou, un debutto tra incertezza e folgorazioni
Ink di Dimitris Papaioannou foto Julian Mommert

Completamente innaffiato dai getti d’acqua prodotti da un sistema d’irrigazione solitamente utilizzato per  i campi, Dimitris Papaioannou, affascinante, in pantaloni e camicia nera, gioca in solitudine, con i diversi  schizzi e con i loro suggestivi suoni, circondato da pareti di cellophane nero. Un getto lungo sembra uscire dalla sua testa mentre seduto, pensieroso, osserva la platea; è uno dei pochi attimi di poesia dell’inizio, alquanto incerto, di Ink (Inchiostro) la nuova installazione site specific del celebre coreografo e regista greco ieri, in prima assoluta, al Teatro Carignano per TorinoDanza (replica stasera) e di nuovo in scena a Reggio Emilia, il 26 e 27, al Teatro Municipale Valli. Un duo, con lui in scena il giovane danzatore tedesco Šuka Horn, di quarantacinque minuti destinato a diventare, nel tempo uno spettacolo a serata intera ma che parte molto in sordina e nel quale si percepisce un’inaspettata incertezza creativa, con gesti che rischiano di diventare banali: per esempio il riempimento d’acqua di una grande boccia di cristallo nel quale ripetutamente Papaioannou, sciacqua un polipo. Le aspettative di fronte ai lavori di una tra le più creative personalità che la storia della danza ci ha regalato sono sempre altissime e quindi  accade che si resti  un po’ delusi  anche se in Ink  Papaioannou sa regalare  ancora e, per fortuna, attimi visionari unici. Suggestive la camminata a quattro zampe del teutonico partner tra l’erba alta di un prato, illuminato da una luce caldissima o la prepotenza fisica con la quale l’uomo  “âgée”, amante più maturo ma anche padre, tenta di imprigionare  il corpo del giovane dentro una lastra trasparente di plastica. Momenti di potente e rabbioso scontro fisico si alternano a una seducente e sensuale attrazione attraverso l’utilizzo di lunghe corde che Papaioannou maneggia per attirare a sé il giovane e giochi d’acqua.  La scena si ammorbidisce sulla musica di Vivaldi emessa da un vecchio giradischi e sugli effetti luminosi di una sfera agganciata in alto che produce, sul fondale aperto come un grande sipario, un gioco di luci suggestive. Molti i riferimenti al cinema horror fanta scientifico a partire dalla camminata del giovane molto simile a quella di Frankenstein, alla testa di un neonato che emerge dal viscido corpo del polipo per venire cullato tra le braccia come un bebé quasi a rievocare desideri di abbracci paterni, forse mancati e reconditi aneliti di paternità mai raggiunte. Papaioannou maneggia la materia come un artigiano, giocherella con l’acqua nella sfera come un fisico ma in una prospettiva, purtroppo, non sempre visibile dal pubblico in platea che non coglie i movimenti a terra dei due intepreti. Calorosi applausi per uno spettacolo però ancora tutto da sbocciare.

 

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“Ink” di Dimitris Papaioannou, un debutto tra incertezza e folgorazioni


“Ink” di Dimitris Papaioannou, un debutto tra incertezza e folgorazioni
Ink di Dimitris Papaioannou foto Julian Mommert

Completamente innaffiato dai getti d’acqua prodotti da un sistema d’irrigazione solitamente utilizzato per  i campi, Dimitris Papaioannou, affascinante, in pantaloni e camicia nera, gioca in solitudine, con i diversi  schizzi e con i loro suggestivi suoni, circondato da pareti di cellophane nero. Un getto lungo sembra uscire dalla sua testa mentre seduto, pensieroso, osserva la platea; è uno dei pochi attimi di poesia dell’inizio, alquanto incerto, di Ink (Inchiostro) la nuova installazione site specific del celebre coreografo e regista greco ieri, in prima assoluta, al Teatro Carignano per TorinoDanza (replica stasera) e di nuovo in scena a Reggio Emilia, il 26 e 27, al Teatro Municipale Valli. Un duo, con lui in scena il giovane danzatore tedesco Šuka Horn, di quarantacinque minuti destinato a diventare, nel tempo uno spettacolo a serata intera ma che parte molto in sordina e nel quale si percepisce un’inaspettata incertezza creativa, con gesti che rischiano di diventare banali: per esempio il riempimento d’acqua di una grande boccia di cristallo nel quale ripetutamente Papaioannou, sciacqua un polipo. Le aspettative di fronte ai lavori di una tra le più creative personalità che la storia della danza ci ha regalato sono sempre altissime e quindi  accade che si resti  un po’ delusi  anche se in Ink  Papaioannou sa regalare  ancora e, per fortuna, attimi visionari unici. Suggestive la camminata a quattro zampe del teutonico partner tra l’erba alta di un prato, illuminato da una luce caldissima o la prepotenza fisica con la quale l’uomo  “âgée”, amante più maturo ma anche padre, tenta di imprigionare  il corpo del giovane dentro una lastra trasparente di plastica. Momenti di potente e rabbioso scontro fisico si alternano a una seducente e sensuale attrazione attraverso l’utilizzo di lunghe corde che Papaioannou maneggia per attirare a sé il giovane e giochi d’acqua.  La scena si ammorbidisce sulla musica di Vivaldi emessa da un vecchio giradischi e sugli effetti luminosi di una sfera agganciata in alto che produce, sul fondale aperto come un grande sipario, un gioco di luci suggestive. Molti i riferimenti al cinema horror fanta scientifico a partire dalla camminata del giovane molto simile a quella di Frankenstein, alla testa di un neonato che emerge dal viscido corpo del polipo per venire cullato tra le braccia come un bebé quasi a rievocare desideri di abbracci paterni, forse mancati e reconditi aneliti di paternità mai raggiunte. Papaioannou maneggia la materia come un artigiano, giocherella con l’acqua nella sfera come un fisico ma in una prospettiva, purtroppo, non sempre visibile dal pubblico in platea che non coglie i movimenti a terra dei due intepreti. Calorosi applausi per uno spettacolo però ancora tutto da sbocciare.

 

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