“Nureyev”, una vita grande, autentica, una pellicola da non perdere.


“Nureyev”, una vita grande, autentica, una pellicola da non perdere.

Ho visto il film “Nureyev”, ieri pomeriggio, una giornata piovosa milanese e sono uscita con il cuore colmo di gratitudine. La pellicola documentario di Jacqui e David Morris, con le coreografie di Russell Maliphant e la musica di Alex Baranowski, mi ha fatto provare, nei suoi confronti, molto affetto. Una tenerezza infinita si coglie nei suoi sorrisi, una grande gioia nel suo stupore infantile di fronte all’entusiasmo del pubblico, una bellezza profonda nella sua danza viscerale, una grande forza nel momento della scelta più emblematica della sua vita, vivere in Francia la libertà o tornare schiavo del sistema sovietico. Tutte le sue relazioni comprese quella con il principe della danza danese Erik Bruhn, con la divina del balletto inglese, Margot Fontaine, amica del cuore, madre affettuosa, sublimata, rispettata, sono raccontate da vecchi video in bianco e nero, da spezzoni di balletti, da scene teatrali, da interviste che catturano lo sguardo e il cuore. Nureyev è un ragazzo che ha saputo farsi amare perché era generoso fino all’estremo, autentico, coraggioso, determinato e freddo nelle decisioni fondamentali della sua vita perché capace di governare le proprie emozioni in modo lucidissimo. Nella bellissima scena che ripercorre la sua fuga all’aeroporto di Parigi, nel 1961, quando, “ha spiccato il salto più lungo della sua carriera”, oltrepassò la transenna e chiese asilo politico ai francesi dopo che gli avevano vietato di proseguire la tournée, in Inghilterra, perché Kruscev lo reclamava al Cremlino, mostra tutta la sua ferrea lucidità, come un domatore perfetto padroneggia le sue emozioni. Seduto in una sala d’attesa, deve scegliere tra due porte, una verso la libertà e l’altra verso la sottomissione al regime; una scena nella quale si coglie tutto il pathos di una decisione che avrebbe avuto conseguenze devastanti per la sua famiglia ( le sorelle non poterono più lavorare, finire gli studi, non avrebbe più rivisto la madre, gli amici, la sua amata insegnante Anna Udel’cova). Eppure non sempre sapeva dominarsi, famosi i suoi scatti di rabbia durante le prove dove, ossessionato da un perfezionismo maniacale, le emozioni gli sfuggivano di mano. Un leone ruggente ma teneramente umano e forte nel mostrare la sua fragilità fisica, negli ultimi anni della sua vita, quando ammalato di AIDS, festeggiato dagli amici nell’ultimo compleanno, non ebbe paura di affrontare il pubblico che lo accolse tra le lacrime. Ho provato alla fine del film un grande rispetto per quest’uomo tenace, appassionato, fedele al suo unico grande amore: la danza. << Ma potrei mai amare una persona così come io amo la danza? >> si chiede, a un certo punto, nel pieno della consapevolezza di una vocazione così assoluta da non permettergli altro. Quando la telefonata di Gorbaciov lo raggiunse, nel 1985, per consentirgli di tornare a “casa” dopo vent’anni dalla sua clamorosa fuga in Occidente, dichiarò, senza mezzi termini, << è un miracolo, è arrivato un secondo Cristo>>. Commovente l’incontro con la sua insegnante Udel’cova, ormai centenaria che, come una bambina piange dalla gioia, e lo avvolge in un abbraccio infinito.
Il film racconta la sua vita tra finzione e realtà, fin dall’inizio si entra in un anfiteatro imbiancato dalla neve, dove, come in un pezzo di Cecov, compaiono i personaggi: la madre, le sorelle, gli amici, i ricordi delle giornate nella “cucina culturale” dell’appartamento a Mosca, dove si ballava “rock and roll” e ai quali Nureyev partecipava con molta cautela, terrorizzato di rompersi qualcosa. I fatti della storia, dal caos della rivoluzione russa nel 1917, la fuga da Mosca per Ufa, la povertà, la miseria, la derisione il primo giorno di scuola con il cappotto della sorella, il nazismo, la guerra fredda. Non mancano citazioni di Bob Dylan, Shakespeare, dei Beatles. L’incontro in costa azzurra con il fotografo Richard Avedon, l’esibizione alla Casa Bianca con Baryshnikov, gli anni Sessanta a New York, la caduta del Muro di Berlino (1990). Mi arrendo, non si può raccontare “Nureyev” in poche righe, vi consiglio di vedere il film stasera ancora nelle sale, un omaggio a un “ragazzo” a cui si può volere solo un mondo di bene.

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“Nureyev”, una vita grande, autentica, una pellicola da non perdere.


“Nureyev”, una vita grande, autentica, una pellicola da non perdere.

Ho visto il film “Nureyev”, ieri pomeriggio, una giornata piovosa milanese e sono uscita con il cuore colmo di gratitudine. La pellicola documentario di Jacqui e David Morris, con le coreografie di Russell Maliphant e la musica di Alex Baranowski, mi ha fatto provare, nei suoi confronti, molto affetto. Una tenerezza infinita si coglie nei suoi sorrisi, una grande gioia nel suo stupore infantile di fronte all’entusiasmo del pubblico, una bellezza profonda nella sua danza viscerale, una grande forza nel momento della scelta più emblematica della sua vita, vivere in Francia la libertà o tornare schiavo del sistema sovietico. Tutte le sue relazioni comprese quella con il principe della danza danese Erik Bruhn, con la divina del balletto inglese, Margot Fontaine, amica del cuore, madre affettuosa, sublimata, rispettata, sono raccontate da vecchi video in bianco e nero, da spezzoni di balletti, da scene teatrali, da interviste che catturano lo sguardo e il cuore. Nureyev è un ragazzo che ha saputo farsi amare perché era generoso fino all’estremo, autentico, coraggioso, determinato e freddo nelle decisioni fondamentali della sua vita perché capace di governare le proprie emozioni in modo lucidissimo. Nella bellissima scena che ripercorre la sua fuga all’aeroporto di Parigi, nel 1961, quando, “ha spiccato il salto più lungo della sua carriera”, oltrepassò la transenna e chiese asilo politico ai francesi dopo che gli avevano vietato di proseguire la tournée, in Inghilterra, perché Kruscev lo reclamava al Cremlino, mostra tutta la sua ferrea lucidità, come un domatore perfetto padroneggia le sue emozioni. Seduto in una sala d’attesa, deve scegliere tra due porte, una verso la libertà e l’altra verso la sottomissione al regime; una scena nella quale si coglie tutto il pathos di una decisione che avrebbe avuto conseguenze devastanti per la sua famiglia ( le sorelle non poterono più lavorare, finire gli studi, non avrebbe più rivisto la madre, gli amici, la sua amata insegnante Anna Udel’cova). Eppure non sempre sapeva dominarsi, famosi i suoi scatti di rabbia durante le prove dove, ossessionato da un perfezionismo maniacale, le emozioni gli sfuggivano di mano. Un leone ruggente ma teneramente umano e forte nel mostrare la sua fragilità fisica, negli ultimi anni della sua vita, quando ammalato di AIDS, festeggiato dagli amici nell’ultimo compleanno, non ebbe paura di affrontare il pubblico che lo accolse tra le lacrime. Ho provato alla fine del film un grande rispetto per quest’uomo tenace, appassionato, fedele al suo unico grande amore: la danza. << Ma potrei mai amare una persona così come io amo la danza? >> si chiede, a un certo punto, nel pieno della consapevolezza di una vocazione così assoluta da non permettergli altro. Quando la telefonata di Gorbaciov lo raggiunse, nel 1985, per consentirgli di tornare a “casa” dopo vent’anni dalla sua clamorosa fuga in Occidente, dichiarò, senza mezzi termini, << è un miracolo, è arrivato un secondo Cristo>>. Commovente l’incontro con la sua insegnante Udel’cova, ormai centenaria che, come una bambina piange dalla gioia, e lo avvolge in un abbraccio infinito.
Il film racconta la sua vita tra finzione e realtà, fin dall’inizio si entra in un anfiteatro imbiancato dalla neve, dove, come in un pezzo di Cecov, compaiono i personaggi: la madre, le sorelle, gli amici, i ricordi delle giornate nella “cucina culturale” dell’appartamento a Mosca, dove si ballava “rock and roll” e ai quali Nureyev partecipava con molta cautela, terrorizzato di rompersi qualcosa. I fatti della storia, dal caos della rivoluzione russa nel 1917, la fuga da Mosca per Ufa, la povertà, la miseria, la derisione il primo giorno di scuola con il cappotto della sorella, il nazismo, la guerra fredda. Non mancano citazioni di Bob Dylan, Shakespeare, dei Beatles. L’incontro in costa azzurra con il fotografo Richard Avedon, l’esibizione alla Casa Bianca con Baryshnikov, gli anni Sessanta a New York, la caduta del Muro di Berlino (1990). Mi arrendo, non si può raccontare “Nureyev” in poche righe, vi consiglio di vedere il film stasera ancora nelle sale, un omaggio a un “ragazzo” a cui si può volere solo un mondo di bene.

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