Ovazioni interminabili alla Scala per La Bayadère con la giovane coppia Tissi e Kovalëva del Bolshoi
L’incedere lento delle ombre, le ballerine in tutù bianco che dalla montagna nera scendono, con una cadenza ritmica che sembra non finire mai, quasi una preghiera, verso il protagonista, il guerriero Solor, uno strepitoso quanto emozionato, Jacopo Tissi, omaggiato con grande affetto e con tutti gli onori, dal pubblico e dalla sovraintendenza, per questa sua “rentrée” alla Scala, dopo la sua dipartita, nel 2017, nella compagnia del Teatro Bolshoi, è il momento più straordinario e di rara bellezza di La Bayadère. Balletto in tre atti (nella versione originale erano quattro), su musiche di Ludwig Minkus, dal sapore esotico e barocco, creato da Petipa nel 1877 e ripreso da Jurij Grigorovičnel 1991 (con estratti delle versioni di V. Čabukiani, K.Sergeev, N. Zubkovskij), questo colosso “coreografico” dalle scenografia quasi operistica, è ritornato sul palcoscenico del Piermarini dal 7 al 10 settembre, con gli straordinari danzatori del Bolshoi, un plotone di ragazzi e ballerine belli, atletici, smaglianti. Il conteso amore per Solor, interpretato con grande regalità e avvincente romanticismo da Tissi che si è calato nel ruolo con grande fervore, passione e classe, tra la bella baiadera Nikiya, una struggente e drammatica Alëna Kovalëva e la figlia del sovrano, Gamzatti, la brillante Kristina Kretova, sicura e gioiosa, ha rapito il pubblico per quasi tre ore. In scena anche le allieve della scuola di ballo scaligere, negrette e damigelle di corte, con momenti di gaiosa danza. Le sontuose scene da “Mille e una notte”, quasi cinematografiche, con templi sacri, fuochi, palazzi principeschi ma anche foreste imponenti, accolgono diversi momenti coreografici: nel primo atto le danze di gruppo, quella dei fachiri e delle baiadere, il duetto del palpitante incontro tra Solor e Nikiya, le movenze teatrali del Gran Bramino (perfetto nel ruolo Aleksandr Fadeečev) che vorrebbe possedere la giovane, la lotta drammatica tra le due donne rivali. Nel secondo il bel passo nuziale di Gamzatti e Solor (con l’aggiunta di una variazione maschile rispetto all’originale) e la danza di Nikiya, interpretata con accorata drammaticità dalla Kovalëva che, morsa dal serpente nascosto nel cestino di fiori, muore. Bella la danza dei fachiri, uomini muscolosi, atletici, in pantaloni rossi che trasmettono una contagiosa energia, molto contemporanea.
Stravolto dal dolore, Solor si abbandona all’oppio e raggiunge una visione mistica (l’ideologia sembra non ammettere immagini soprannaturali senza l’utilizzo di una droga) e qui si apre la scena più suggestiva di tutto il balletto: l’atto delle ombre. La visione avvolge gli spettatori con una forza magnetica sottile e regala un momento di contemplazione assoluta che però non è eterna. E’ come un abbaglio che poi si dilegua e Solor è condannato a vivere la pena dell’assenza; l’unione mistica tra i due innamorati svanisce ma la visione ha suscitato un desiderio di unità, impossibile da sopire. Una corona di applausi per tutta la compagnia e ovazioni interminabili per i due giovani protagonisti entrambi ventenni: le danze della coppia Tissi e Kovalëva non si fermano qui. Un’unione artistica destinata a volare in alto.