“The white crow”: la cinepresa “danza” tra i luoghi, le passioni e le relazioni di Rudolf Nureyev


“The white crow”: la cinepresa “danza” tra i luoghi, le passioni e le relazioni di Rudolf Nureyev
"THE WHITE CROW" film di RALPH FIENNES

Finalmente da giovedì 27 giugno nelle sale italiane il film Nureyev “The white crow” (Il corvo bianco), del regista britannico Ralph Fiennes presentato in anteprima, a Milano, al Cinema Colosseo in apertura di OnDance la grande festa della danza, ispirato al romanzo di Julie Kavanagh. Non sono una critica cinematografica ma la regia di Fiennes e la sceneggiatura di David Hare mi sono davvero piaciute perché molto suggestive; in particolare mi ha colpito il movimento delle riprese, una sorta di “danza” in tre luoghi della vita del ”tartaro volante” interpretato dal ballerino ucraino Oleg Ivenko che ha svelato anche il suo talento di attore : la tournée a Parigi nel 1961, gli anni di Leningrado dal ’55 al ’61 e quelli dell’infanzia poverissima, alla fine degli anni ’40 in bianco e grigio scuro. Certo, il volto di Nureyev con il suo sguardo sornione è inimitabile e, all’inizio, si teme il confronto ma Ivenko che, tra l’altro, assomiglia molto al cantante Gianni Morandi, regge molto bene la sfida e si cala nel personaggio con grande naturalezza.  Nel ruolo del coinquilino di Parigi, Yuri Soloviev, un altro ucraino molto discusso per il suo carattere ribelle, Sergej Polunin apparso in diversi film tra cui “Omicidio sull’Orient Express” e in tournée in Italia a luglio-agosto. I temi affrontati nel film sono molti: siamo nel periodo della Guerra Fredda e il desiderio di libertà è incalzante fino alla clamorosa diserzione di Nureyev all’aeroporto “La Bourget” nel giugno del ’61. Ma non solo. Il desiderio di affermazione è viscerale e nasce da un bisogno di riscatto sociale: “sono un contadino dell’Unione Sovietica nato su un treno” afferma a un certo punto Nureyev che, spinto dalla sua vocazione e dal desiderio di libertà è pronto a sfidare chiunque, senza mezzi termini. Temperamento irascibile,  la sua imprevedibile rabbia scoppiava, all’improvviso, con una violenza che lasciava attoniti (per esempio nel ristorante con la sua amica parigina Clara Saint interpretata dall’attrice francese Adèle Exarchopoulos che però lo perdona) e curioso, amava molto l’arte, fuggiva nei musei per contemplare quadri e dipinti in solitudine.  La sua sete di libertà, i ricordi della sua infanzia molto povera, la sua bisessualità, il suo egoismo ma anche il suo stupore infantile, quel desiderio profondo di superare i proprio limiti, di rivoluzionare gli schemi troppo rigidi del balletto che “non è fatto solo di regole”, di ridare fervore al ruolo maschile del danzatore,  sono tratteggiati, con grande maestria, da Fiennes. Un viaggio tra i periodi e i luoghi diversi della sua vita segnati da incontri speciali, per esempio quello con il maestro di ballo, l’enigmatico Alexander Pushkin, interpretato magistralmente dallo stesso Fiennes che lo segue come un figlio , lo ospita nel suo monolocale con la moglie fedifraga, Xenia Iosifovna interpretata da Chulpan Khamatova che inizia con lui una  relazione amorosa. Alcune scene sono girate in Serbia (dal 2017 Fiennes ha anche cittadinanza serba) dove la scenografa francese Anne Seibel ha ricreato gli interni, tra cui la scuola Vaganova a Leningrado, il teatro Mariinsky, l’aereoporto “Le Bourget”. Molto toccanti le fughe di Nureyev nei luoghi d’arte: al Louvre di Parigi affascinato dal dipinto di Géricault “La zattera della Medusa” e alla Sainte-Chapelle dove, ammaliato dalle stupende vetrate davanti al ballerini francesi Pierre Lacotte, il bravissimo attore Raphaël Personnaz e Claire Motte (Calypso Valois), esclama: ”vorrei vivere qui”. Commuove il suo sguardo davanti al dipinto di RembrandtRitorno del figliol prodigo” nel museo Hermitage, un abbraccio che rievoca quello di lui bambino (che, con timore ma tanta delicatezza, si lascia accogliere tra le braccia del padre al suo ritorno nella casa di Ufa. Un momento di grande poesia che rivela tutte le ferite di un uomo che desiderava volare alto.

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“The white crow”: la cinepresa “danza” tra i luoghi, le passioni e le relazioni di Rudolf Nureyev


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"THE WHITE CROW" film di RALPH FIENNES

Finalmente da giovedì 27 giugno nelle sale italiane il film Nureyev “The white crow” (Il corvo bianco), del regista britannico Ralph Fiennes presentato in anteprima, a Milano, al Cinema Colosseo in apertura di OnDance la grande festa della danza, ispirato al romanzo di Julie Kavanagh. Non sono una critica cinematografica ma la regia di Fiennes e la sceneggiatura di David Hare mi sono davvero piaciute perché molto suggestive; in particolare mi ha colpito il movimento delle riprese, una sorta di “danza” in tre luoghi della vita del ”tartaro volante” interpretato dal ballerino ucraino Oleg Ivenko che ha svelato anche il suo talento di attore : la tournée a Parigi nel 1961, gli anni di Leningrado dal ’55 al ’61 e quelli dell’infanzia poverissima, alla fine degli anni ’40 in bianco e grigio scuro. Certo, il volto di Nureyev con il suo sguardo sornione è inimitabile e, all’inizio, si teme il confronto ma Ivenko che, tra l’altro, assomiglia molto al cantante Gianni Morandi, regge molto bene la sfida e si cala nel personaggio con grande naturalezza.  Nel ruolo del coinquilino di Parigi, Yuri Soloviev, un altro ucraino molto discusso per il suo carattere ribelle, Sergej Polunin apparso in diversi film tra cui “Omicidio sull’Orient Express” e in tournée in Italia a luglio-agosto. I temi affrontati nel film sono molti: siamo nel periodo della Guerra Fredda e il desiderio di libertà è incalzante fino alla clamorosa diserzione di Nureyev all’aeroporto “La Bourget” nel giugno del ’61. Ma non solo. Il desiderio di affermazione è viscerale e nasce da un bisogno di riscatto sociale: “sono un contadino dell’Unione Sovietica nato su un treno” afferma a un certo punto Nureyev che, spinto dalla sua vocazione e dal desiderio di libertà è pronto a sfidare chiunque, senza mezzi termini. Temperamento irascibile,  la sua imprevedibile rabbia scoppiava, all’improvviso, con una violenza che lasciava attoniti (per esempio nel ristorante con la sua amica parigina Clara Saint interpretata dall’attrice francese Adèle Exarchopoulos che però lo perdona) e curioso, amava molto l’arte, fuggiva nei musei per contemplare quadri e dipinti in solitudine.  La sua sete di libertà, i ricordi della sua infanzia molto povera, la sua bisessualità, il suo egoismo ma anche il suo stupore infantile, quel desiderio profondo di superare i proprio limiti, di rivoluzionare gli schemi troppo rigidi del balletto che “non è fatto solo di regole”, di ridare fervore al ruolo maschile del danzatore,  sono tratteggiati, con grande maestria, da Fiennes. Un viaggio tra i periodi e i luoghi diversi della sua vita segnati da incontri speciali, per esempio quello con il maestro di ballo, l’enigmatico Alexander Pushkin, interpretato magistralmente dallo stesso Fiennes che lo segue come un figlio , lo ospita nel suo monolocale con la moglie fedifraga, Xenia Iosifovna interpretata da Chulpan Khamatova che inizia con lui una  relazione amorosa. Alcune scene sono girate in Serbia (dal 2017 Fiennes ha anche cittadinanza serba) dove la scenografa francese Anne Seibel ha ricreato gli interni, tra cui la scuola Vaganova a Leningrado, il teatro Mariinsky, l’aereoporto “Le Bourget”. Molto toccanti le fughe di Nureyev nei luoghi d’arte: al Louvre di Parigi affascinato dal dipinto di Géricault “La zattera della Medusa” e alla Sainte-Chapelle dove, ammaliato dalle stupende vetrate davanti al ballerini francesi Pierre Lacotte, il bravissimo attore Raphaël Personnaz e Claire Motte (Calypso Valois), esclama: ”vorrei vivere qui”. Commuove il suo sguardo davanti al dipinto di RembrandtRitorno del figliol prodigo” nel museo Hermitage, un abbraccio che rievoca quello di lui bambino (che, con timore ma tanta delicatezza, si lascia accogliere tra le braccia del padre al suo ritorno nella casa di Ufa. Un momento di grande poesia che rivela tutte le ferite di un uomo che desiderava volare alto.

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