“Una stella romantica proiettata nel Duemila”


“Una stella romantica proiettata nel Duemila”
Alessandra Ferri photo by Lucas Chilczuk for DanceMedia LLC

È rientrata a Milano da poche settimane dalla tournée a Tokyo, dove il successo l’ha incoronata ancora una volta in un balletto che non aveva mai interpretato, La bella addormentata nel bosco e la Scala non ha perso tempo nel conferirle il titolo più ambito tra le divine della danza, quello di “étoile”. Alessandra Ferri, alla vigilia della ripresa di uno tra i suoi cavalli di battaglia Romeo e Giulietta del coreografo Kenneth McMillan, che debutta stasera (repliche fino al 13 ottobre) e nel quale danzerà al fianco dell’Argentino Massimiliano Guerra (il 6 e 7), è raggiante. “Ho rinnovato il rapporto con il Teatro fino al Duemila e sono molto felice”  dichiara la ballerina, che da tre anni è già artista “ospite” della Scala, dalla quale se ne andò appena quindicenne, per emigrare prima al Covent Garden è poi all’American Ballet.
Cosa succede signora Ferri, la Scala la vuole sempre di più sul suo palcoscenico e con un rapporto privilegiato rispetto agli altri teatri?
Il sovrintendente Carlo Fontana e il direttore del ballo Elisabetta Terabust hanno voluto che rimanessi legata al teatro per un periodo più duraturo e con un rapporto più significativo. Continuerò la mia carriera di étoile internazionale, però ho accettato di intensificare la mia relazione artistica con la Scala”.
Questo nuovo riconoscimento è  lo stesso che ha tuttora all’American Ballet Theatre?
“Sì, ma con l’American Ballet ho un rapporto più in veste di ospite. Ormai trascorro più tempo qui che negli Stati Uniti, dove svolgo la stagione del Metropolitan e seguo la compagnia solo qualche tournée in Europa e in Asia”.
Se l’aspettava questa nomina così importante da parte del teatro che l’ha vista nascere?
”In questi tre anni si è sviluppato un forte affetto reciproco ed io ho creduto molto del lavoro di Fontana, che ha rilanciato il balletto invitando come direttrice la Terabust. Il corpo di ballo della Scala è ormai ad ottimi livelli e lo ha  dimostrato il successo che i danzatori hanno ricevuto a Tokyo. Sono stata molto orgogliosa di ballare con questa compagnia, l’unica in Italia, per quanto riguarda il balletto di repertorio, che può competere con quelle a livello internazionale”.
Nel mondo del teatro non mancano le  invidie. Ha mai provato il sentimento della gelosia?
“Sono molto gelosa a livello affettivo, ad esempio del mio uomo, ma non sul lavoro. Sylvie Guillem, per esempio, l’ammiro, ma non provo gelosia. Abbiamo due repertori e due stili così diversi che non ho motivo di esserlo”.
Ha un consiglio da dare a Milano per quanto riguarda la danza?
“Sarebbe bello se si creasse uno spazio all’aperto, come c’è a Washington al Wolftrap, magari nel parco di Villa Reale a Monza”.
Se lei dovesse definirsi artisticamente, cosa direbbe?
”Che sono una danzatrice romantica del Duemila: portata al romanticismo, però quello proiettato nel futuro, vissuto appunto da una donna di questo fine millennio”.
Pubblicato in “La Repubblica” 4/10/1995

 

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“Una stella romantica proiettata nel Duemila”


“Una stella romantica proiettata nel Duemila”
Alessandra Ferri photo by Lucas Chilczuk for DanceMedia LLC

È rientrata a Milano da poche settimane dalla tournée a Tokyo, dove il successo l’ha incoronata ancora una volta in un balletto che non aveva mai interpretato, La bella addormentata nel bosco e la Scala non ha perso tempo nel conferirle il titolo più ambito tra le divine della danza, quello di “étoile”. Alessandra Ferri, alla vigilia della ripresa di uno tra i suoi cavalli di battaglia Romeo e Giulietta del coreografo Kenneth McMillan, che debutta stasera (repliche fino al 13 ottobre) e nel quale danzerà al fianco dell’Argentino Massimiliano Guerra (il 6 e 7), è raggiante. “Ho rinnovato il rapporto con il Teatro fino al Duemila e sono molto felice”  dichiara la ballerina, che da tre anni è già artista “ospite” della Scala, dalla quale se ne andò appena quindicenne, per emigrare prima al Covent Garden è poi all’American Ballet.
Cosa succede signora Ferri, la Scala la vuole sempre di più sul suo palcoscenico e con un rapporto privilegiato rispetto agli altri teatri?
Il sovrintendente Carlo Fontana e il direttore del ballo Elisabetta Terabust hanno voluto che rimanessi legata al teatro per un periodo più duraturo e con un rapporto più significativo. Continuerò la mia carriera di étoile internazionale, però ho accettato di intensificare la mia relazione artistica con la Scala”.
Questo nuovo riconoscimento è  lo stesso che ha tuttora all’American Ballet Theatre?
“Sì, ma con l’American Ballet ho un rapporto più in veste di ospite. Ormai trascorro più tempo qui che negli Stati Uniti, dove svolgo la stagione del Metropolitan e seguo la compagnia solo qualche tournée in Europa e in Asia”.
Se l’aspettava questa nomina così importante da parte del teatro che l’ha vista nascere?
”In questi tre anni si è sviluppato un forte affetto reciproco ed io ho creduto molto del lavoro di Fontana, che ha rilanciato il balletto invitando come direttrice la Terabust. Il corpo di ballo della Scala è ormai ad ottimi livelli e lo ha  dimostrato il successo che i danzatori hanno ricevuto a Tokyo. Sono stata molto orgogliosa di ballare con questa compagnia, l’unica in Italia, per quanto riguarda il balletto di repertorio, che può competere con quelle a livello internazionale”.
Nel mondo del teatro non mancano le  invidie. Ha mai provato il sentimento della gelosia?
“Sono molto gelosa a livello affettivo, ad esempio del mio uomo, ma non sul lavoro. Sylvie Guillem, per esempio, l’ammiro, ma non provo gelosia. Abbiamo due repertori e due stili così diversi che non ho motivo di esserlo”.
Ha un consiglio da dare a Milano per quanto riguarda la danza?
“Sarebbe bello se si creasse uno spazio all’aperto, come c’è a Washington al Wolftrap, magari nel parco di Villa Reale a Monza”.
Se lei dovesse definirsi artisticamente, cosa direbbe?
”Che sono una danzatrice romantica del Duemila: portata al romanticismo, però quello proiettato nel futuro, vissuto appunto da una donna di questo fine millennio”.
Pubblicato in “La Repubblica” 4/10/1995

 

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