Luciana Savignano al tempo del Covid 19: tra solitudine e speranza


Luciana Savignano al tempo del Covid 19: tra solitudine e speranza
Luciana Savignano in "La forma dell'incompiuto" di Susanna Beltrami foto di Angelo Redaelli

L’avremmo voluta applaudire, ancora una volta, dal vivo, al Teatro Franco Parenti, l’8 marzo in Bolero, non il capolavoro di Maurice Béjart, dove in passato, sul leggendario tavolo rotondo, al ritmo timbrico, ossessivo, catartico di Maurice Ravel, ha raccolto i calorosi applausi di migliaia di spettatori, ma in una versione più intimista, quella della coreografa Milena Zullo dedicata a tutte le donne vittime della violenza. Luciana Savignano étoile di fama mondiale e milanese doc, bellezza dai tratti somatici orientali, la musa che ha ammaliato coreografi come Béjart, Mario Pistoni, Paolo Bortoluzzi, Roland Petit, Micha van Hoecke in questa intervista racconta la sua vita di donna e d’artista dal grande spessore umano ai tempi del Covid 19, illuminata dalla sua guida sicura: una fiammella interiore che lei chiama “speranza”.
Dov’era la sera del 7 marzo quando il Governo ha deciso il decreto pesantissimo ma necessario, di chiudere per il Covid 19, le Regioni della Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e come ha vissuto quel momento?
“Ero appena rientrata a Milano da una tournée in Sardegna con Bolero e ho deciso di raggiungere mio marito a Torino dove vive, così almeno abbiamo potuto condividere questo lungo periodo di quarantena insieme e sono ancora bloccata qui. Mi è spiaciuto molto rinunciare alla serata milanese perché Bolero è uno spettacolo improntato sul femminicidio, un lavoro adatto per la giornata dedicata alle donne ma ho evitato di farmi prendere dalla facile depressione; cerco di vedere sempre il lato positivo perciò l’ho vissuto come un momento utile; ho lavorato moltissimo fino al cinque marzo, forse era giusto riposarmi un po’ ”.
Bolero è per lei un balletto icona. La sua interpretazione del capolavoro di Béjart creato nel 1961 per la danzatrice jugoslava Duska Sifnios e che, tra l’altro, è ritornato in scena alla Scala lo scorso novembre con Roberto Bolle, ha segnato la storia della danza: come affronta oggi questa versione così diversa?
“Ripropongo, in un’altra veste, la Luciana di oggi. Quando l’anno scorso me l’hanno proposto e poiché sono un po’ temeraria, ho capito che era un modo per sfidare me stessa. Questa nuova coreografia che dura un’ora e un quarto perché Zullo ha aggiunto una parte recitata con l’attore Massimo Scola, non è paragonabile al Bolero di Béjart, anzi, è tutta un’altra storia, mi piace molto”.
Lo spettacolo è stato spostato alla prossima stagione?
“Spero ma non so nulla. Avevamo altre date ma ora siamo tutti in attesa perché i teatri apriranno per ultimi”
In questi mesi di reclusione ha continuato anche lei ad allenarsi in casa come la maggior parte dei ballerini del mondo?
“Ho un grande tappeto e alla mattina faccio stretching, mi tengo in forma come d’abitudine, poi porto a spasso il mio cane meraviglioso e questo è un buon motivo per uscire. A Torino praticamente faccio la moglie, cosa che non ho mai fatto (ride). Vivendo tra qui e Milano abbiamo sempre fatto una vita un po’ da fidanzati mentre adesso il quotidiano mi ha portato a dover cucinare come la maggior parte delle donne e mi sono adeguata”.
Il suo piatto forte?
“La pasta, cambio i condimenti, una volta con i pomodorini, un’altra con il pesto, invento, è il mio piatto preferito con un bel bicchiere di vino rigorosamente rosso”.
Quindi le ballerine mangiano la pasta senza problemi…
“Come ha scritto Valeria Crippa nel bel libro Anomalia di una stella (Rizzoli) non mi definisco una ballerina, sono una creatura che si esprime danzando, non sono la ballerina canonica che sta le ore alla sbarra, non ho mai fatto massaggi, sono molto istintiva, ho sempre seguito il mio corpo, la mia mente, il mio stato d’animo, sono sempre stata a briglia sciolta, è proprio un mio bisogno interiore”.
Che rapporto ha con i social?
“Pessimo, faccio il minimo indispensabile”.
Il mondo della danza sta vivendo un momento davvero molto difficile, malgrado i fondi elargiti dal Governo con il decreto “Cura Italia” del 17 marzo, per aiutare le arti performative. Si sta discutendo molto come affrontare il futuro dei prossimi mesi: si parla di programmare spettacoli di danza per la TV e, per l’estate, all’aperto come si è sempre fatto, ma con il necessario distanziamento cosa per altro molto difficile per il balletto; come vede lei il futuro degli spettacoli di danza dal vivo?
“La danza la concepisco solo in teatro, non amo vederla in Tv. Certo è un modo per permettere in questo momento di fruirne, ma il suo luogo magico è il teatro, la danza è emozione, qualcosa che il pubblico riceve, respira in sala”.
Limite, vulnerabilità, paura, coraggio, precarietà, solidarietà, povertà, solitudine, speranza sono solo alcune delle parole che si sono sentite in questi mesi; ce n’è una in particolare che è stata la sua guida, il suo faro per superare la fatica di queste giornate in cui ognuno si è dovuto reinventare un po’ la propria vita?
“Direi speranza abbinata anche a solitudine perché aiuta molto a riflettere; per me la speranza è come una piccola fiammella che resta sempre accesa, a volte è più forte, altre più debole come succede in circostanze difficili ma ho sempre fatto in modo che non si spegnesse mai”
Una Pasqua in quarantena, molti hanno trovato analogie con i quaranta giorni di Gesù nel deserto, il silenzio surreale che circondava le nostre città, i quartieri, le strade e poi la camminata solitaria di Papa Francesco in una Piazza San Pietro deserta, sotto la pioggia, il 27 marzo dove ha invocato una preghiera straordinaria davanti all’immagine della Madonna e al crocifisso di San Marcello, un’immagine apocalittica; come ha vissuto quei momenti, la sua arte le è stata d’aiuto?
“L’arte è comunque un aiuto immenso, ha un potere magico, riconcilia con sé stessi e con il mondo. Quando un ballerino da l’anima e metto in cima alla scala Jorge Donn, il pubblico lo percepisce”.
In un’intervista che le avevo fatto per La Repubblica nel 2008, lei affermava che “chi danza si crede immortale e conoscere la sofferenza aiuta”, è così ancora oggi?
“Sì perché quando si danza sul palcoscenico si ha la grande fortuna di sentirsi un essere fuori dal mondo, privilegiato; quando ballo mi sento come baciata dalla grazia del Signore, per questo, a volte, ci si sente immortali ma senza presunzione, con molta umiltà”.
“Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli” è un’altra frase forte di Papa Francesco in questi giorni complessi, pensa valga anche per il mondo della danza?
“Certo, perché anche nel nostro mondo si punta molto all’apparire, non all’essere e questo fa sentire molta solitudine perché vedo tanto egoismo; la danza dovrebbe liberare tutto quello che si ha dentro ma a volte non è così e allora cerco sempre di tenere accesa la mia fiammella interiore, la mia unica forza”.
E’ nata a Milano, ha studiato al Teatro alla Scala dove è stata nominata étoile nel 1975, come immagina la ripresa degli spettacoli nel nostro meraviglioso teatro?
“Qualche giorno fa ho letto come intendono allestire, quest’estate, uno spettacolo all’Arena: mettere l’orchestra in platea distanziata e il pubblico intorno. In quel momento ho pensato che potrebbero fare la stessa cosa alla Scala, il pubblico nei palchi distanziati, due per ognuno e l’orchestra in platea. La danza è contatto fisico ma i ballerini potrebbero fare dei meravigliosi assoli, oppure i coreografi potrebbero creare dei lavori ad hoc ; Paolo Bortoluzzi, per esempio, aveva creato per me e Marco Pierin un passo a due molto bello Claire de lune dove non ci toccavamo mai, eravamo in due scatole di vetro formate dalla luce, questo pezzo sarebbe attualissimo”.
I giovani danzatori dovranno affrontare un periodo molto critico, che consiglio può dare loro per affrontare un futuro così incerto?
“E’ sempre difficile dare consigli ma, la cosa migliore, in questo momento è non prendere nessuna decisione, aspettare che le cose evolvano”.
Dove attinge energia nei momenti difficili?
“La forza la cerco in me stessa, bisogna essere consapevoli e forti. In ognuno di noi c’è una forza che aiuta, bisogna accettare il momento che si vive certi che verrà un’altra soluzione”.
E’ un modo di affidarsi alla vita che ha in sé un progetto buono
“Credo che la vita viene sempre incontro, l’ho sperimentato su di me, quando mi sono trovata davvero in difficoltà e pensavo di non trovare soluzioni. Succedeva qualcosa che le risolveva, per esempio quando è mancata mia mamma ho incontrato mio marito e così molte altre volte; è faticoso cercare le sorgenti interiori profonde, autentiche ma quando si trovano è meraviglioso”.

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Luciana Savignano al tempo del Covid 19: tra solitudine e speranza


Luciana Savignano al tempo del Covid 19: tra solitudine e speranza
Luciana Savignano in "La forma dell'incompiuto" di Susanna Beltrami foto di Angelo Redaelli

L’avremmo voluta applaudire, ancora una volta, dal vivo, al Teatro Franco Parenti, l’8 marzo in Bolero, non il capolavoro di Maurice Béjart, dove in passato, sul leggendario tavolo rotondo, al ritmo timbrico, ossessivo, catartico di Maurice Ravel, ha raccolto i calorosi applausi di migliaia di spettatori, ma in una versione più intimista, quella della coreografa Milena Zullo dedicata a tutte le donne vittime della violenza. Luciana Savignano étoile di fama mondiale e milanese doc, bellezza dai tratti somatici orientali, la musa che ha ammaliato coreografi come Béjart, Mario Pistoni, Paolo Bortoluzzi, Roland Petit, Micha van Hoecke in questa intervista racconta la sua vita di donna e d’artista dal grande spessore umano ai tempi del Covid 19, illuminata dalla sua guida sicura: una fiammella interiore che lei chiama “speranza”.
Dov’era la sera del 7 marzo quando il Governo ha deciso il decreto pesantissimo ma necessario, di chiudere per il Covid 19, le Regioni della Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e come ha vissuto quel momento?
“Ero appena rientrata a Milano da una tournée in Sardegna con Bolero e ho deciso di raggiungere mio marito a Torino dove vive, così almeno abbiamo potuto condividere questo lungo periodo di quarantena insieme e sono ancora bloccata qui. Mi è spiaciuto molto rinunciare alla serata milanese perché Bolero è uno spettacolo improntato sul femminicidio, un lavoro adatto per la giornata dedicata alle donne ma ho evitato di farmi prendere dalla facile depressione; cerco di vedere sempre il lato positivo perciò l’ho vissuto come un momento utile; ho lavorato moltissimo fino al cinque marzo, forse era giusto riposarmi un po’ ”.
Bolero è per lei un balletto icona. La sua interpretazione del capolavoro di Béjart creato nel 1961 per la danzatrice jugoslava Duska Sifnios e che, tra l’altro, è ritornato in scena alla Scala lo scorso novembre con Roberto Bolle, ha segnato la storia della danza: come affronta oggi questa versione così diversa?
“Ripropongo, in un’altra veste, la Luciana di oggi. Quando l’anno scorso me l’hanno proposto e poiché sono un po’ temeraria, ho capito che era un modo per sfidare me stessa. Questa nuova coreografia che dura un’ora e un quarto perché Zullo ha aggiunto una parte recitata con l’attore Massimo Scola, non è paragonabile al Bolero di Béjart, anzi, è tutta un’altra storia, mi piace molto”.
Lo spettacolo è stato spostato alla prossima stagione?
“Spero ma non so nulla. Avevamo altre date ma ora siamo tutti in attesa perché i teatri apriranno per ultimi”
In questi mesi di reclusione ha continuato anche lei ad allenarsi in casa come la maggior parte dei ballerini del mondo?
“Ho un grande tappeto e alla mattina faccio stretching, mi tengo in forma come d’abitudine, poi porto a spasso il mio cane meraviglioso e questo è un buon motivo per uscire. A Torino praticamente faccio la moglie, cosa che non ho mai fatto (ride). Vivendo tra qui e Milano abbiamo sempre fatto una vita un po’ da fidanzati mentre adesso il quotidiano mi ha portato a dover cucinare come la maggior parte delle donne e mi sono adeguata”.
Il suo piatto forte?
“La pasta, cambio i condimenti, una volta con i pomodorini, un’altra con il pesto, invento, è il mio piatto preferito con un bel bicchiere di vino rigorosamente rosso”.
Quindi le ballerine mangiano la pasta senza problemi…
“Come ha scritto Valeria Crippa nel bel libro Anomalia di una stella (Rizzoli) non mi definisco una ballerina, sono una creatura che si esprime danzando, non sono la ballerina canonica che sta le ore alla sbarra, non ho mai fatto massaggi, sono molto istintiva, ho sempre seguito il mio corpo, la mia mente, il mio stato d’animo, sono sempre stata a briglia sciolta, è proprio un mio bisogno interiore”.
Che rapporto ha con i social?
“Pessimo, faccio il minimo indispensabile”.
Il mondo della danza sta vivendo un momento davvero molto difficile, malgrado i fondi elargiti dal Governo con il decreto “Cura Italia” del 17 marzo, per aiutare le arti performative. Si sta discutendo molto come affrontare il futuro dei prossimi mesi: si parla di programmare spettacoli di danza per la TV e, per l’estate, all’aperto come si è sempre fatto, ma con il necessario distanziamento cosa per altro molto difficile per il balletto; come vede lei il futuro degli spettacoli di danza dal vivo?
“La danza la concepisco solo in teatro, non amo vederla in Tv. Certo è un modo per permettere in questo momento di fruirne, ma il suo luogo magico è il teatro, la danza è emozione, qualcosa che il pubblico riceve, respira in sala”.
Limite, vulnerabilità, paura, coraggio, precarietà, solidarietà, povertà, solitudine, speranza sono solo alcune delle parole che si sono sentite in questi mesi; ce n’è una in particolare che è stata la sua guida, il suo faro per superare la fatica di queste giornate in cui ognuno si è dovuto reinventare un po’ la propria vita?
“Direi speranza abbinata anche a solitudine perché aiuta molto a riflettere; per me la speranza è come una piccola fiammella che resta sempre accesa, a volte è più forte, altre più debole come succede in circostanze difficili ma ho sempre fatto in modo che non si spegnesse mai”
Una Pasqua in quarantena, molti hanno trovato analogie con i quaranta giorni di Gesù nel deserto, il silenzio surreale che circondava le nostre città, i quartieri, le strade e poi la camminata solitaria di Papa Francesco in una Piazza San Pietro deserta, sotto la pioggia, il 27 marzo dove ha invocato una preghiera straordinaria davanti all’immagine della Madonna e al crocifisso di San Marcello, un’immagine apocalittica; come ha vissuto quei momenti, la sua arte le è stata d’aiuto?
“L’arte è comunque un aiuto immenso, ha un potere magico, riconcilia con sé stessi e con il mondo. Quando un ballerino da l’anima e metto in cima alla scala Jorge Donn, il pubblico lo percepisce”.
In un’intervista che le avevo fatto per La Repubblica nel 2008, lei affermava che “chi danza si crede immortale e conoscere la sofferenza aiuta”, è così ancora oggi?
“Sì perché quando si danza sul palcoscenico si ha la grande fortuna di sentirsi un essere fuori dal mondo, privilegiato; quando ballo mi sento come baciata dalla grazia del Signore, per questo, a volte, ci si sente immortali ma senza presunzione, con molta umiltà”.
“Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli” è un’altra frase forte di Papa Francesco in questi giorni complessi, pensa valga anche per il mondo della danza?
“Certo, perché anche nel nostro mondo si punta molto all’apparire, non all’essere e questo fa sentire molta solitudine perché vedo tanto egoismo; la danza dovrebbe liberare tutto quello che si ha dentro ma a volte non è così e allora cerco sempre di tenere accesa la mia fiammella interiore, la mia unica forza”.
E’ nata a Milano, ha studiato al Teatro alla Scala dove è stata nominata étoile nel 1975, come immagina la ripresa degli spettacoli nel nostro meraviglioso teatro?
“Qualche giorno fa ho letto come intendono allestire, quest’estate, uno spettacolo all’Arena: mettere l’orchestra in platea distanziata e il pubblico intorno. In quel momento ho pensato che potrebbero fare la stessa cosa alla Scala, il pubblico nei palchi distanziati, due per ognuno e l’orchestra in platea. La danza è contatto fisico ma i ballerini potrebbero fare dei meravigliosi assoli, oppure i coreografi potrebbero creare dei lavori ad hoc ; Paolo Bortoluzzi, per esempio, aveva creato per me e Marco Pierin un passo a due molto bello Claire de lune dove non ci toccavamo mai, eravamo in due scatole di vetro formate dalla luce, questo pezzo sarebbe attualissimo”.
I giovani danzatori dovranno affrontare un periodo molto critico, che consiglio può dare loro per affrontare un futuro così incerto?
“E’ sempre difficile dare consigli ma, la cosa migliore, in questo momento è non prendere nessuna decisione, aspettare che le cose evolvano”.
Dove attinge energia nei momenti difficili?
“La forza la cerco in me stessa, bisogna essere consapevoli e forti. In ognuno di noi c’è una forza che aiuta, bisogna accettare il momento che si vive certi che verrà un’altra soluzione”.
E’ un modo di affidarsi alla vita che ha in sé un progetto buono
“Credo che la vita viene sempre incontro, l’ho sperimentato su di me, quando mi sono trovata davvero in difficoltà e pensavo di non trovare soluzioni. Succedeva qualcosa che le risolveva, per esempio quando è mancata mia mamma ho incontrato mio marito e così molte altre volte; è faticoso cercare le sorgenti interiori profonde, autentiche ma quando si trovano è meraviglioso”.

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