Pubblico entusiasta alla Scala per Symphony in C-Petite Mort-Bolero


Pubblico entusiasta alla Scala per Symphony in C-Petite Mort-Bolero
"Petite Mort" Nicoletta Manni e Mick Zeni - Foto Brescia e Amisano- Teatro alla Scala

Apoteosi per Roberto Bolle che sabato sera al Teatro alla Scala, è tornato a danzare sul tavolo rotondo del leggendario Bolero di Maurice Béjart (l’ultima volta è stato a marzo 2018) sulla musica battente, dionisiaca, sensuale di Ravel, in un crescendo di gestualità che, a partire dal movimento lento delle mani, piano piano coinvolge in un crescendo musicale ossessivo e ripetitivo, tutto il corpo fino al finale catartico dove viene sommerso dal gruppo di uomini. Bolle ha regalato al pubblico la sua interpretazione, sicuramente più distaccata, in un certo senso contenuta, dove non esplode tutta la potenza selvatica dell’umano come è accaduto invece in passato con altri grandi interpreti come Jorge Donn o la nostra Luciana Savignano. D’altronde ogni danzatore lascia ai posteri interpretazioni memorabili a seconda delle diverse personalità e sicuramente quella di Bolle nel recente Onegin (vedi mia recensione) ha superato qualsiasi aspettativa. Ma torniamo alla nostra serata con il trittico Balanchine-Kylián-Béjart, una manciata di capolavori del Novecento, che si è aperta con il luminoso fondale azzurro e i due lampadari di cristallo sospesi in alto, del prezioso, elegante, raffinatissimo Symphony in C o “Palazzo di Cristallo” (1947) di George Balanchine su musiche di Georges Bizet. Il ben assortito gruppo di danzatori scaligeri ha interpretato con freschezza, ironia, velocità questo gioiello neoclassico con un crescendo d’interpreti che entrano in scena fino a diventare una schiera di dame luminose in tutù bianchi e uomini in calzamaglie nere. Un pezzo smagliante dove le prime ballerine e i solisti, Martina Arduino (che vedremo anche in Bolero il 30 sera) e Nicola Del Freo, Nicoletta Manni e Marco Agostino si sono esibiti con briosità e ironia, compostezza e regalità, nei quattro movimenti insieme ai ballerini Alessandra Vassallo e Claudio Coviello, Maria Celeste Losa e Mattia Semperboni. Il secondo pezzo della serata, Petite Mort di Jiří Kylián con la musica sublime degli adagi dei concerti 23 e 21 di Mozart accompagnano i movimenti delle sei coppie di danzatori che, in boxer, con le spade in mano e in tutine color carne le fanciulle, ballano in gruppo e intrecciano sensuali e delicati passi a due di una bellezza struggente. Una luce calda avvolge i corpi dei danzatori e restituisce tutto il fascino dell’incontro amoroso tra un uomo e una donna, con delicatezza e vertiginosa sensualità; armonia, leggerezza e grazia si amalgamano insieme all’ironia mozartiana che, a un certo punto, s’insinua con la vestizione delle ballerine in ampi abiti ottocenteschi. Bravi i dodici ballerini scaligeri che hanno trasmesso tutta la poesia di questo capolavoro intramontabile. (Fino al 30 novembre)

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"Petite Mort" Nicoletta Manni e Mick Zeni - Foto Brescia e Amisano- Teatro alla Scala

Apoteosi per Roberto Bolle che sabato sera al Teatro alla Scala, è tornato a danzare sul tavolo rotondo del leggendario Bolero di Maurice Béjart (l’ultima volta è stato a marzo 2018) sulla musica battente, dionisiaca, sensuale di Ravel, in un crescendo di gestualità che, a partire dal movimento lento delle mani, piano piano coinvolge in un crescendo musicale ossessivo e ripetitivo, tutto il corpo fino al finale catartico dove viene sommerso dal gruppo di uomini. Bolle ha regalato al pubblico la sua interpretazione, sicuramente più distaccata, in un certo senso contenuta, dove non esplode tutta la potenza selvatica dell’umano come è accaduto invece in passato con altri grandi interpreti come Jorge Donn o la nostra Luciana Savignano. D’altronde ogni danzatore lascia ai posteri interpretazioni memorabili a seconda delle diverse personalità e sicuramente quella di Bolle nel recente Onegin (vedi mia recensione) ha superato qualsiasi aspettativa. Ma torniamo alla nostra serata con il trittico Balanchine-Kylián-Béjart, una manciata di capolavori del Novecento, che si è aperta con il luminoso fondale azzurro e i due lampadari di cristallo sospesi in alto, del prezioso, elegante, raffinatissimo Symphony in C o “Palazzo di Cristallo” (1947) di George Balanchine su musiche di Georges Bizet. Il ben assortito gruppo di danzatori scaligeri ha interpretato con freschezza, ironia, velocità questo gioiello neoclassico con un crescendo d’interpreti che entrano in scena fino a diventare una schiera di dame luminose in tutù bianchi e uomini in calzamaglie nere. Un pezzo smagliante dove le prime ballerine e i solisti, Martina Arduino (che vedremo anche in Bolero il 30 sera) e Nicola Del Freo, Nicoletta Manni e Marco Agostino si sono esibiti con briosità e ironia, compostezza e regalità, nei quattro movimenti insieme ai ballerini Alessandra Vassallo e Claudio Coviello, Maria Celeste Losa e Mattia Semperboni. Il secondo pezzo della serata, Petite Mort di Jiří Kylián con la musica sublime degli adagi dei concerti 23 e 21 di Mozart accompagnano i movimenti delle sei coppie di danzatori che, in boxer, con le spade in mano e in tutine color carne le fanciulle, ballano in gruppo e intrecciano sensuali e delicati passi a due di una bellezza struggente. Una luce calda avvolge i corpi dei danzatori e restituisce tutto il fascino dell’incontro amoroso tra un uomo e una donna, con delicatezza e vertiginosa sensualità; armonia, leggerezza e grazia si amalgamano insieme all’ironia mozartiana che, a un certo punto, s’insinua con la vestizione delle ballerine in ampi abiti ottocenteschi. Bravi i dodici ballerini scaligeri che hanno trasmesso tutta la poesia di questo capolavoro intramontabile. (Fino al 30 novembre)

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